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13-09-2017 20:55 Comune di Reggio Calabria, Iachino chiede contrasto al potere criminale
Comune di Reggio Calabria, Iachino chiede contrasto al potere criminale

Nonostante i timidi interventi degli anni 50 e 60 dello scorso secolo, è mancata per troppo tempo una normativa specifica e lontanamente adeguata a contrastare la crescita del potere criminale mafioso.

Il cammino di perfezionamento di modalità di contrasto efficae è durato decenni ed è costellato da colpevoli ritardi da parte dello Stato e del legislatore e del sacrificio di troppe preziose vite. Il raggiungimento di grandi risultati, a quel tempo impensabili, è infatti costato la vita agli uomini che per primi ebbero importanti intuizioni e furono in prima linea in questo ambito.

Il potere mafioso, superata la vocazione esclusiva al controllo degli interessi agrari, iniziò a crescere in maniera esponenziale, gestendo una mole crescente di affari illeciti propri, ma anche di interessi e risorse pubblici, infiltrandosi in ogni ambito della vita sociale, politica ed economica, piegando tutto al proprio esclusivo interesse.

Una normativa incompleta e imprecisa portava numerosi processi di mafia a concludersi con generali assoluzioni che vanificavano anni di lavoro di forze dell’ordine e magistratura.

Negli anni 1980 iniziò la vera strategia d’attacco al potere mafioso, in quel periodo infatti si fece più insistente la coraggiosa pressione di grandi magistrati, politici, prefetti, esponenti delle forze dell’ordine e della stessa società civile, decisi ad attaccare più direttamente e più efficacemente la criminalità organizzata di tipo mafioso, spingendo su due fronti principali: l’adozione di provvedimenti specifici di contrasto alle mafie, intese quale fenomeno diverso, più complesso, a sé stante rispetto al crimine organizzato “comune”; l’attacco alla componente economico-finanziaria delle organizzazioni, quindi ai patrimoni collegati alle attività criminali, tramite provvedimento di confisca.

La svolta si ebbe nel 1982, in seguito allo scoppio di una vera e propria guerra mossa dalla mafia contro le istituzioni.

Gli omicidi di uomini impegnati in prima linea come il generale Dalla Chiesa e il parlamentare siciliano Pio La Torre e molti altri, scatenarono le coscienze e l’opinione pubblica, obbligando il Parlamento a decisioni fin troppo tempo rimandate.

Fu a pochi giorni dalla strage di via Carini, in cui perse la vita il generale Dalla Chiesa e pochi mesi dalla morte del parlamentare del PCI Pio La Torre, il 13 settembre 1982 venne approvata la più importante norma in materia di lotta alla mafia mai varata fino a quel momento.

Si tratta della legge 13 settembre 1982, n. 646 recante “Disposizioni in materia di misure di prevenzione di carattere patrimoniale ed integrazioni alle leggi 27 dicembre 1956, n. 1423, 10 febbraio 1962, n. 57 e 31 maggio 1965, n. 575. Istituzione di una commissione parlamentare sul fenomeno della mafia.”

La legge Rognoni - La Torre ha una storia lunga e travagliata, che meriterebbe d’essere ripercorsa in ogni dettaglio, ma non è questo il luogo. Di necessità di strumenti specificamente rivolti a colpire l’associazione mafiosa in quanto tale se ne parlava già, Pio La Torre vi aggiunse l’intuizione dell’importanza strategica di una aggressione ai patrimoni mafiosi.

D’altra parte egli da sempre osservava da molto vicino il fenomeno mafioso, potendone seguire da una postazione privilegiata l’evoluzione dalla prima fase “agraria” del controllo dei latifondi siciliani, a quella più recente dello strapotere sociale ed economico, dei mega appalti, della speculazione edilizia, del traffico di droga, del racket del pizzo, della corruzione e del controllo delle istituzioni e della politica. Da giovanissimo era giunto al timone della Camera del Lavoro di Corleone prendendo il posto del sindacalista comunista Placido Rizzotto, uomo libero e vicino alle posizioni della classe contadina, ucciso dai corleonesi nel 1948.

Pio La Torre nella sua lotta per i diritti condotta soprattuto contro la mafia (fu anche segretario regionale della CGIL) colse che il filo conduttore, la costante nella trasformazione del potere mafioso, era costituito proprio dalla brama di ricchezze, da utilizzare per ottenere consenso e potere sociale e politico. Gli ultimi anni della sua vita furono interamente dedicati alla ricerca di soluzioni legislative valide a contrastare il potere mafioso.

Nel 1976, da deputato e componente della Commissione antimafia, La Torre riuscì a fare approvare una relazione di minoranza contenente quella che da molti è considerata una delle più lucide analisi del fenomeno mafioso. La coraggiosa lotta si concluse solo con la sua uccisione il 30 aprile 1982, senza che egli potesse cogliere i frutti del sacrificio di una intera vita.

La legge prese il nome da La Torre e dall’allora Ministro dell’Interno Rognoni e costituì una vera rivoluzione nell’ambito della legislazione antimafia, introducendo nel codice penale l’articolo 416-bis che finalmente colpiva l’associazione mafiosa in quanto tale e prevedeva l’obbligo di confisca dei patrimoni illeciti per il condannato.

Per comprenderne la portata, l’impatto che tale previsione ebbe presso gli stessi ambienti mafiosi, basta riportare una oramai celebre frase pronunciata da un boss siculo-americano intercettato negli anni duemila “basta essere incriminati per il 416-bis e automaticamente scatta il sequestro dei beni, cosa più brutta della confisca non c’è, la cosa migliore è andarsene”.

Trapela da queste espressioni il pensiero del mafioso circa il rischio della confisca dei beni, considerato come la più grande disgrazia cui andare incontro.

Era ammesso il rischio di finire in galera ed al limite anche quello di essere uccisi, ma quello di perdere i patrimoni accumulati per mezzo di ogni crimine era percepito come insopportabile.

La legge 646 del 1982 ha permesso di ottenere grandi risultati nella lotta alle mafie,  anni di indagini giunte a buon fine, secoli di condanne, centinaia di ergastoli e tanti ulteriori interventi legislativi virtuosi.

Vittorie pagate care da giudici come Chinnici, Caponnetto, Scopelliti, Falcone, Borsellino e tante altre vittime innocenti.

Oggi a 35 anni dalla grande rivoluzione avviata dall’art. 416-bis, nessun uomo degno di essere definito tale può voltare le spalle di fronte all’esempio e all’impegno di chi ha sacrificato tutto per muovere i primi passi in questa lotta per la libertà e la dignità di una intera nazione.

E non basta una manifestazione pubblica, dichiarazioni altisonanti, prese di posizione astratte e distanti dalla vita e dalle scelte reali: alle istituzioni soprattutto e alla società civile in ogni sua forma ed espressione è imposto l’obbligo di portare avanti con ogni mezzo possibile questa lotta, con azioni vere che portino risultati concreti e credibili ed un impegno quotidiano costante che sia testimonianza tangibile dei valori di legalità e amore per il bene comune che dichiariamo appartenerci.

Nancy Iachino - consigliera PD con delega ai Beni Comuni e Confiscati.

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